mercoledì 13 aprile 2011

Alici arrecanate

Questo è un piatto della mia Nonna...fin da quando ero bambino,almeno un paio di volte al mese mi deliziava tirando fuori questo piatto dal forno della nostra stufa a legna...
Si chiamano "arrecanate" per l'uso dell'origano (a' recta) utilizzato nella ricetta



Ingredienti:

600 g di alici freschissime
mollica di mezzo chilo di pane
uno spicchio d'aglio
olio extravergine d'oliva q.b.
un ciuffo di prezzemolo
un cucchiaio di aceto di vino bianco
un cucchiaio abbondante di origano
sale q.b.
pane q.b.


Aprire le alici,togliere e la testa e deliscarle.
Sul fondo di una casseruola da forno spargere olio d'oliva,mollica di pne,aglio,sale e pepe.
Adagiare sopra loe alici e condire con un filo d'olio,un po' di aceto,sale,pepe e,ovviamente,una spolverata di origano.
Fare un altro strato di pane con i vari condimenti e così via,per almeno tre volte.
avremo quindi una specie di "lasagna" di alici,pane e spezie varie.
Cuocere al forno a calore moderato per una ventina di minuti.
Ovviamente è fondamentale poi finire il piatto con una spolverata di origano sopra.

Per me,è una squisitezza :P

martedì 12 aprile 2011

Tiramisu


La prima attestazione scritta del nome risale solamente al 1971, in un articolo di Giuseppe di Clemente.

Giuseppe Maffioli (1925-1985) esperto enogastronomo nel 1981 nella rivista "Vin Veneto: rivista trimestrale di vino, grappa, gastronomia e varia umanita del Veneto" storicizza la creazione del dolce fra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 70 localizzandolo presso il ristorante “Alle Beccherie” di Treviso gestito dalla famiglia Campeol ad opera di un cuoco pasticciere che aveva lavorato in Germania, Roberto “Loly” Linguanotto. Il nome del dolce in veneto “tiramesù” poi italianizzato in “tiramisù”, sarebbe stato adottato per le sue capacità nutrizionali e ristoratrici.

Una ricetta del tiramisù si può trovare nel libro "I dolci del Veneto" di Giovanni Capnist del 1983 anche se il dolce non è indicato con il suo famoso nome.

Ulteriori conferme alla storicità e localizazzione del dolce possono essere ritrovate anche in testi più recenti come "Cucina e tradizioni del Veneto" (testo per istituti alberghieri), anch’esso localizza la creazione del dolce presso il ristorante "Beccherie" di Treviso da parte di un cuoco con precedenti esperienze mittleuropee, il testo presenta maggiori incertezze per il collocamento temporale "dell'invenzione" individuato “nell’immediato dopoguerra".

La ricetta del tiramisu non è presente in libri di cucina precedenti agli anni sessanta. Ciò consente di supporre che il tiramisù come lo si conosce ora sia una recente invenzione.Elemento ulteriore è la mancanta identificazione del dolce nelle enciclopedie degli anni 70 e 80 dello scorso secolo.

Una delle leggende sulla sua nascita pone la sua origine a Siena, come dolce preparato in occasione di una visita del Granduca Cosimo III (1642-1723) e denominato zuppa del duca. Se questa versione è teoricamente compatibile con l'introduzione in Italia di uno degli ingredienti principali del tiramisù, il caffé, non lo è altrettanto per l'utilizzo del mascarpone, che è un formaggio tipico della Lombardia, e per i savoiardi biscotti originari della Savoia entrambi poco verosimilmente usati nella pasticceria senese a cavallo del 1600 e 1700. Il mascarpone in particolare irrancidisce rapidamente e difficilmente poteva essere conservato e trasportato in tempi brevi dalla Lombardia alla Toscana. Anche l'utilizzo di uova crude all'interno di un dolce non soggetto a cottura, in passato, presentava delle difficoltà dato il rischio elevato di sviluppare la salmonella.

A oggi il tiramisù è riconosciuto come dolce principe della provincia di Treviso,a differenza di quanto avviene a Siena, dove non risulta tra i prodotti considerati tipici della zona.

Tra i ristoranti a cui viene attribuita la parternità del tiramisù si annoverano anche i trevisani "El Toulà" e "Al Fogher".

Una ipotesi vede come culla del tiramisù Castelfranco Veneto, della creazione i trevigiani si sarebbero successivamente appropriati.

Una leggenda racconta che il conte di Cavour era duramente provato dai suoi tentativi di unificare l'Italia, così un pasticcere di Torino per sostenere il conte nella sua impresa creò il tirami su.

Un'altra leggenda narra che nasca in seguito ad una specie di zabaione (rosso d'uovo, zucchero e marsala) sbattuto a freddo detto "Sbatudin" in uso nelle campagne venete e somministrato alle donne in post gravidanza per rinvigorirle. Viene perfezionato, in seguito, con l'aggiunta di biscotti e mascarpone. In particolare l'aggiunta del mascarpone sembra essere il piacevole risultato di una...burla. Nella campagna veneta di racconta che il "Sior Cesco", volendo prendersi gioco della figlia piagnucolona dell'oste che lamentava continua spossatezza le consigliò di aggiungere allo "sbatudin" (vedi sopra) una generosa dose di un medicinale di sua invenzione. Il "medicinale" altro non era che mascarpone, formaggio di cui il Sior Cesco era ghiotto. Tuttavia anziché inacidire il composto o renderlo sgradevole, quell'aggiunta rese ancor più saporito il "tonico" veneto e il Sior Cesco ricevette i complimenti della ragazza. Nella realtà il "Sior Cesco" potrebbe verosimilmente essere riconosciuto come Francesco De Lemene, studioso, poeta e scrittore originario di Lodi (zona in cui sembrerebbe essere nato il mascarpone), famoso per il suo carattere affabile e che più di una volta si trovò a soggiornare nelle campagne venete dovendo presenziare alle Università di Bologna e Padova.

Altre recenti fonti sostengono che il dolce sia stato inventato in Carnia negli anni 50.

Tra coloro che asseriscono di aver creato il tiramisù risulta esservi anche un certo Carminantonio Iannaccone, attualmente residente negli Stati Uniti, che afferma di averlo inventato negli anni 70 quando si trovava a Treviso.

Ingredienti:

* 300 g di mascarpone
* 3 uova freschissime
* 6 cucchiai (circa) di zucchero
* 2 pacchi di biscotti savoiardi
* 1 litro (circa) di caffé
* cacao amaro in polvere, quanto basta



Preparazione:
Dividi il bianco dal rosso dell’uovo.
Amalgama bene i tre "rossi" con lo zucchero.
Gira in modo energico fino a quando il composto diventa giallo chiaro e aggiungi il mascarpone continuando a mescolare con un cucchiaio di legno.

Monta a "neve ferma" i bianchi dell’uovo ed uniscili al composto precedente mescolando con un cucchiaio di legno delicatamente dal basso verso l’alto.
Amalgama bene il tutto ed avrai ottenuto la crema per il Tiramisu.
Nel frattempo fai il caffé e fallo raffreddare.
Prepara il Tiramisù.
Prendi un recipiente rettangolare basso (adatto per il tiramisù) ed inizia a fare gli strati.
Bagna uno per volta i savoiardi nel caffé e adagiali nel contenitore uno vicino all’altro e stendi uno strato di crema (la quantità dipende dai gusti, se il tiramisù piace più cremoso o più asciutto).

Spargi sulla crema uno strato di cacao amaro, con un passino e continua per tre o quattro strati.
Conserva il Tiramisu in frigorifero almeno un’ora prima di servire.

lunedì 11 aprile 2011

Amatriciana


L'amatriciana o matriciana (in Romanesco) è un condimento per la pasta che ha preso il nome da Amatrice, cittadina in provincia di Rieti. Gli ingredienti principali sono guanciale, formaggio pecorino e pomodoro. È inserita nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali laziali.L'antenata della amatriciana è la gricia (o più propriamente griscia); secondo una ipotesi[2] questo nome deriverebbe da un paesino a pochi chilometri da Amatrice, frazione del comune di Accumoli, di nome Grisciano. La griscia era ed è ancora conosciuta come l'amatriciana senza il pomodoro, anche se differisce per alcuni ingredienti.

L'invenzione della salsa di pomodoro (e quindi il termine post quem per l'introduzione del pomodoro nella gricia, creando l'Amatriciana) risale alla fine del diciottesimo secolo: la prima testimonianza scritta dell'uso della salsa di pomodoro con la pasta si trova nel manuale di cucina L'Apicio Moderno, scritto nel 1790 dal cuoco romano Francesco Leonardi.

Nell'Ottocento e sino all'inizio del novecento la popolarità della pietanza a Roma si accrebbe considerevolmente. Questo avvenne a causa degli stretti contatti - a quel tempo già pluricentenari— fra la città eterna ed Amatrice.L'Amatriciana fu estremamente bene accolta e - anche se nata altrove - venne rapidamente considerata un classico della cucina romana. Il nome della pietanza in Romanesco divenne matriciana a causa dell'aferesi tipica di questo dialetto.
Per quanto originaria di Amatrice, la ricetta si è diffusa a Roma e nel Lazio, diventando così uno dei piatti tradizionali della capitale e della regione. L'amatriciana esiste in diverse varianti, dipendenti anche dalla disponibilità di alcuni ingredienti. Mentre ognuno concorda sull'uso di guanciale, il pomodoro non è riportato nel manuale di Gosetti.La cipolla non è usata ad Amatrice,ma è riportata nei manuali classici della cucina romana.Come grasso di cottura viene usato prevalentemente olio d'oliva, ma l'uso dello strutto è anche attestato e talvolta non viene usato alcun grasso di cottura.

L'uso dell'aglio soffritto in olio d'oliva prima di aggiungere il guanciale è anche possibile, mentre come formaggio può essere usato sia il pecorino romano sia quello di Amatrice (proveniente dai Monti Sibillini o dai Monti della Laga).L'uso di pepe nero o peperoncino è anche attestato.

È consuetudine condire con l'amatriciana gli spaghetti, i bucatini o i rigatoni. Gli abitanti di Amatrice condiscono con questo sugo esclusivamente gli spaghetti.



Ingredienti

Pasta 400 gr (Bucatini o spaghetti)
Guanciale di maiale 100 gr
Pecorino 75 gr
Pomodori pelati 350 gr
Un bicchiere di vino bianco
Olio extra vergine di oliva q.b
Sale, pepe e peperoncino q.b


Procedimento

Preparare il guanciale tagliarlo a cubetti e metterlo a soffriggere in una padella aggiungendo uno o due cucchiai di olio extra vergine di oliva. Appena il guanciale sarà pronto , ovvero appena la parte grassa diventa trasparente, sfumare con il vino bianco ed appena tutto il vino sarà evaporato scolate il guanciale e riponetelo in un piatto.
Nell’olio di cottura del guanciale mettete a cuocere i pomodori, aggiustate di sale, pepe, peperoncino e fateli andare fino a che non saranno tutti completamente sfatti.
Nel frattempo portare ad ebollizione in abbondante acqua salata la pasta (spaghetti o bucatini) e scolatela almeno 2 minuti prima del tempo di cottura consigliato.
Versate la pasta nella padella con il pomodoro, aggiungete il guanciale e qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta fate saltare per circa 2 muniti.
Servite questa squisita pasta all’amatriciana ben calda con abbondante pecorino grattugiato ed una spolverata di pepe.

venerdì 8 aprile 2011

La cioncia



La “Cioncia” è un’antica preparazione tipica della Valdinievole.
Si preparava con la testina e con il musetto di vitello, parti considerate meno
nobili di altre, insieme al cosiddetto “carniccio”, cioè il residuo di carni che
restavano attaccate alle pelli destinate ad essere poi conciate.
Infatti la paternità di questo piatto viene attribuita agli addetti del trasporto
delle pelli pronte per la “concia”, e da questo prende il nome.
La ricetta moderna, oltre alla testina ed al musetto di vitello che sono
facilmente reperibili anche oggi, sostituisce al carniccio, ormai non più usato,
altre parti di carni poco pregiate tipo la guancia, le orecchie e le labbra di
vitello, che sono facilmente reperibili presso il proprio macellaio di fiducia.
Ingredienti per 4 persone:
• Parti del vitello sopracitate: 600 gr
• Pomodori maturi o pelati in
barattolo:500 gr
• Una cipolla
• Una carota
• Un gambo di sedano
• Uno spicchio d’aglio
• Nepitella (o mentuccia)
• Vino rosso
• Pane (possibilmente casereccio)
• Olio d’oliva delle colline del Montabano
• Sale e pepe
Preparazione: Fare bollire in acqua salata tutte le carni che avete scelto per
un’ora.
Farle intiepidire, scolarle e tagliarle a listarelle (tipo come si taglia la trippa).
In una casseruola, fare rosolare, in abbondante olio, un trito di tutti gli odori e,
quando appassiscono, unire la carne.
Fare insaporire per circa dieci minuti, poi bagnare con mezzo bicchiere di
vino.
Appena si sarà ritirato, aggiungere i pomodori, salare, pepare e fate cuocere
per un’altra ora, girando spesso e bagnando con acqua calda o brodo,
all’occorrenza.
Servire la Cioncia così com’è, oppure su fette di pane casereccio
abbrustolito, non dimenticando un bel filo d’olio sopra

Il carcerato pistoiese

Il nome di questa antichissima ricetta, tipica della Toscana e, principalmente di Pistoia, nasce dal fatto che proprio a Pistoia, i macelli comunali sono molto vicini alle carceri, ed entrambe le strutture affacciano su un piccolo corso d’acqua chiamato Brana. Molti anni fa sembra che le "rigaglie", cioè le interiora degli animali macellati, non venissero vendute, ma gettate nel ruscello sotto gli occhi dei carcerati, evidentemente affamati, che chiesero ed ottennero il permesso di poter mangiare loro tutto quel ben di Dio. Inventarono, allora una zuppa mettendo assieme le rigaglie, il pane secco e l’acqua. Questo piatto poverissimo, ai giorni nostri arricchito con odori, aglio e formaggio, è ormai difficilissimo da trovare se non in qualche trattoria o ristorante che offrono un menu di tradizione toscana. Una curiosità: il termine rigaglia deriva dal latino e significa “cosa degna di un re” .

Ingredienti del “carcerato” per 4/6 persone
- 300gr di pane raffermo
- 300gr di interiora di vitello compreso zampa, coda e testina
- 1 cipolla
- 1 carota
- 1 gambo di sedano
- 3/4 pomodorini
- Formaggio pecorino o parmigiano grattatuggiato
- Olio extravergine d’oliva
- sale
- pepe

Preparazione: in una capiente pentola preparare un brodo con acqua, gli odori, i pomodorini e la carne. Fare cuocere a lungo e filtratelo. Versare il brodo in un coccio ed unire il pane tagliato a fette, salare, pepare e fare cuocere a fuoco basso mescolando continuamente fino ad ottenere una “pappa” omogenea. A cottura ultimata condire con olio extravergine toscano e con abbondante formaggio. Servire il “carcerato” in ciotole, molto caldo.

Infine, consiglio di abbinare il tutto ad un bel Chianti classico, ovviamente rosso.